Massimiliano Allegri: il nuovo Guru del calcio o il più grande bluff della Serie A?

 


In un’epoca in cui il calcio sembra sempre più dominato da algoritmi, palleggi asfissianti e pressing coordinato, Massimiliano Allegri continua a rappresentare un’eccezione clamorosa. Lo fa con il suo stile essenziale, il suo “corto muso” elevato a filosofia, e una capacità di sopravvivere — anzi, di imporsi — che sfida ogni logica moderna. È arrivato il momento di chiederci senza ironia: Allegri è davvero il nuovo dio del calcio? Oppure siamo di fronte a una gigantesca mistificazione tattica sopravvalutata solo dai numeri e dalla nostalgia?


L’uomo che vince (quasi) sempre


Allegri ha vinto ovunque è andato. Cinque Scudetti consecutivi con la Juventus (dal 2014 al 2019), due finali di Champions League raggiunte — un traguardo che manca in Italia da anni — e una capacità camaleontica di adattarsi alle rose più diverse senza snaturarsi.


Non è un esteta. Non è neanche un fanatico dell’innovazione. Ma è un vincente. E in un calcio ipertecnologico, in cui si celebrano allenatori che ancora non hanno vinto nulla solo perché “giocano bene”, Allegri rappresenta una forma di ribellione quasi spirituale. Una rivendicazione del risultato come valore ultimo.


Eppure, proprio qui nasce la frattura.


Il “corto muso” è diventato ideologia


Se Sacchi ha rivoluzionato il calcio italiano con il pressing, Guardiola con il possesso, Klopp con il gegenpressing, Allegri ha costruito il suo culto sull’essenzialità. Il suo famoso “vincere di corto muso” non è solo una frase — è un manifesto.


Per molti, un inno all'efficacia. Per altri, una rinuncia alla bellezza. Allegri ha spesso schierato squadre compatte, bloccate, attendiste. Eppure, i risultati gli hanno dato ragione. Ma a quale prezzo?


Secondo molti tifosi juventini, Allegri ha ucciso lo spirito offensivo della squadra. Altri lo considerano l’unico vero allenatore capace di tenere la barca a galla nei momenti più complicati. È proprio questa ambiguità che lo rende una figura divisiva e affascinante.


Ma quale “dio”? La Juventus di Allegri ha fallito negli ultimi anni


Il ritorno alla Juventus nel 2021 avrebbe dovuto essere la sua consacrazione. Ma la realtà è stata ben diversa. Zero trofei in tre stagioni. Un gioco faticoso, spesso contestato anche dagli stessi giocatori. Eliminazioni brucianti in Champions League e risultati altalenanti in Serie A.


Dove sono finiti il pragmatismo vincente e la solidità mentale? Alcuni accusano Allegri di essere rimasto ancorato a un calcio superato, di non saper dialogare con le nuove generazioni di calciatori. Altri lo difendono con ferocia, indicando i problemi societari, le penalizzazioni, le cessioni strategiche e una rosa non all’altezza come motivi principali del suo mancato successo.


Il culto dell’allenatore: una questione tutta italiana?


In Italia, tendiamo a mitizzare gli allenatori più che in qualsiasi altro paese. Allegri è il nuovo Mazzarri o è il nuovo Trapattoni? È un simbolo del calcio italiano “vero”, oppure una zavorra che impedisce al nostro campionato di evolversi?


La questione divide opinionisti, tifosi e addetti ai lavori. Paolo Condò ha più volte criticato il suo gioco, mentre altri come Mario Sconcerti (prima della sua scomparsa) ne hanno elogiato l’intelligenza gestionale. Anche tra i calciatori che lo hanno avuto come tecnico, le opinioni sono spaccate: chi parla di un genio silenzioso, chi lo accusa di improvvisazione.


Allegri è un maestro del caos o del controllo?


Un’altra questione chiave nel dibattito è il suo approccio gestionale. Allegri non è un maniaco del controllo come Conte, né un filosofo come Sarri. È un allenatore che lavora molto sull’equilibrio mentale del gruppo, più che sulla rigidità tattica.


In un certo senso, è un anti-moderno. E in un calcio sempre più standardizzato, proprio questa sua diversità potrebbe essere la sua forza più grande.


Oppure, il suo limite più evidente.


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