che fine ha fatto AIAZZONE?

 


Negli anni ’80 e ’90, in Italia, c’erano cose che sapevi per certo: che la domenica c’era Domenica In, che il Festival di Sanremo sarebbe stato troppo lungo, e che prima o poi in TV qualcuno ti avrebbe urlato “Provare per credere!”. Era lui, Guido Angeli, volto e voce inconfondibile delle pubblicità Aiazzone, un marchio di mobili che per un periodo sembrava l’IKEA italiana, ma più appariscente, più cafona, più nostra. E oggi? Di Aiazzone restano solo echi, spezzoni su YouTube, meme e domande sospese: ma che fine ha fatto Aiazzone? E soprattutto, perché è scomparso così?


Il marchio Aiazzone nasce negli anni ‘70 grazie all’imprenditore Ferdinando Aiazzone, un giovane piemontese ambizioso, visionario e, come si diceva all’epoca, “avanti”. Trasforma il concetto di mobilificio in qualcosa di gigantesco, uno showroom spettacolare, quasi teatrale, in cui l’arredamento si vende a rate, con volantini promozionali in technicolor e soprattutto con una strategia pubblicitaria martellante. Spot ossessivi, musiche epiche, Guido Angeli che si firma “Con affetto, Guido Angeli” e garantisce la qualità come se fosse il Papa dei divani. La comunicazione è massiccia, inquietante, affascinante: non puoi guardare un film in prima serata senza che ti piombi addosso la voce roboante che ti invita a provare "la cameretta per tuo figlio" in promozione fino a fine mese. E per un po’, funziona.


Il successo è esplosivo. I centri Aiazzone si moltiplicano. La gente ci crede. È l’Italia degli anni ruggenti pre-Euro, quando il credito al consumo era ancora sinonimo di “ce la stiamo facendo”. Ma dietro quell’apparente solidità c’è un castello costruito con fondamenta fragili. E il primo crollo arriva già nel 1986, quando proprio Ferdinando Aiazzone muore in un incidente d’auto. Da lì inizia una lenta discesa, un declino che non fa rumore ma lascia segni. Il marchio resiste, viene venduto, rivenduto, rilanciato più volte. A fine anni 2000 ci prova di nuovo sotto il nome “Panmedia”, con una massiccia campagna pubblicitaria in stile “ritorno delle mummie”, ma qualcosa non torna. I punti vendita sembrano più scenografie che veri negozi. Le lamentele aumentano. Gli ordini non arrivano. E infine, la bomba: nel 2011 l’inchiesta della Procura di Torino scopre un buco milionario, dipendenti non pagati, clienti truffati. Un crack da manuale. Aiazzone chiude (di nuovo), lasciando dietro di sé mobili mai consegnati, famiglie arrabbiate e una sensazione di truffa emotiva più che commerciale.


Eppure, Aiazzone è rimasto. Come mito, come meme, come reliquia del marketing urlato. È finito dentro i video ironici di YouTube, nei remix trash, nei TikTok nostalgici. Guido Angeli, il testimonial storico, è diventato un personaggio da leggenda pop, prima venerato come garante morale di ogni credenza componibile, poi deriso, infine dimenticato. Anche lui, scomparso dalla scena, quasi come una maledizione che ha inghiottito tutto il circo.


Che fine ha fatto Aiazzone? È finito dove finiscono le cose che erano troppo grandi per stare in piedi e troppo italiane per essere dimenticate. È svanito come svaniscono certe epoche: tra una rata mancata, un’illuminazione alogena e una firma “con affetto”. E forse è giusto così. Perché Aiazzone non era solo un mobilificio. Era uno specchio. Di un’Italia ingenua, tamarra, piena di speranze in offerta speciale. Provare per credere.

Commenti

Post popolari in questo blog

🌡️ “Il Caldo Torrido Che Sta Sconvolgendo l’Italia: Colpa del Clima o Solo un’Estate da Ricordare?”

Il caso Gergiev: polemica in Italia per il concerto cancellato alla Reggia di Caserta

Giorgio Bongiovanni: tra giornalismo d’inchiesta, stigmate e polemiche continue