Madonne che piangono e figli di Dio: l’Italia che crede ancora ai ciarlatani

 


C’è una casa sul lago, a Trevignano Romano, dove fino a poco tempo fa si radunavano centinaia di persone ogni mese. Non per un concerto, non per un politico, non per un influencer, ma per ascoltare le parole che — si diceva — la Madonna stessa avrebbe dettato a una donna di mezza età, Gisella Cardia, inginocchiata davanti a una statua che piangeva sangue.


A centinaia di chilometri di distanza, nel cuore del Salento, in una casa isolata nel comune di Miggiano, un altro tipo di folla si radunava: più silenziosa, più rarefatta. Giovani che tagliavano i ponti con le famiglie, lasciavano il lavoro, per seguire un uomo che si fa chiamare Kadir, e che si presenta come “delegato di Dio sulla terra”.


Due storie. Due personaggi. Ma, in fondo, un solo grande tema: perché, ancora oggi, in Italia, tanta gente finisce per credere a chi promette il cielo — ma spesso gli prende l’anima, il portafoglio o la libertà?


Gisella, la veggente del lago


Gisella Cardia non era una mistica. Era un’imprenditrice siciliana, condannata nel 2013 per bancarotta fraudolenta. Poi la svolta mistica: un viaggio a Medjugorje, il ritorno a Trevignano con una statuetta della Vergine, e le prime lacrime — vere, dicevano — di sangue. Lei comincia a ricevere messaggi celesti, parla di apocalisse, invoca digiuni, e annuncia miracoli. La pizza che si moltiplica, come nel Vangelo. Le stigmate. Le guarigioni.


Intorno a lei nasce una fondazione, arrivano offerte, donazioni, testimonianze. Alcuni danno tutto. Un uomo le dona 123 mila euro: poi la denuncia. La Chiesa — dopo mesi di silenzio — prende posizione: “Non consta la soprannaturalità dei fatti”, cioè: la Madonna, lì, non c’entra. Le analisi parlano chiaro: il sangue sulla statua è compatibile con quello della stessa Cardia. Lei si difende: “Non sono io a voler parlare, è Lei che mi usa come strumento”.


Poi, all’improvviso, scompare.


Kadir, il profeta del Salento


Nel frattempo, in Puglia, c’è un altro che dice di avere una linea diretta con Dio. Si fa chiamare Kadir, vive fuori dal paese, e accoglie nella sua casa ragazzi e ragazze in crisi. Li invita al silenzio, alla purificazione, alla rottura con il mondo. Alcuni digiunano, altri si spogliano — letteralmente — perché, secondo lui, il corpo va liberato da ogni vergogna. Le famiglie, escluse, cominciano a preoccuparsi. Lo denunciano per plagio e violenza privata.


Lui nega. Dice di non essere un guru, né un truffatore. “Non prendo un euro da nessuno”, ripete. Ma la dinamica è nota: isolamento, controllo psicologico, venerazione. La stessa che si ritrova in decine di casi simili, da nord a sud, ogni anno.


Ma allora, perché ci cascano?


Perché persone anche colte, razionali, adulte, arrivano a seguire un’estranea che parla con la Madonna, o un uomo che chiede loro di tagliare i ponti con tutto? La risposta è semplice e tragica: perché hanno bisogno di credere.


Viviamo in un Paese stanco, smarrito. Dove la politica ha smesso di promettere futuro, la scienza spesso non consola, e le parrocchie si svuotano. Quando perdi un figlio, quando una malattia ti cambia la vita, quando ti ritrovi solo, fragile, spaventato, e qualcuno ti dice “non temere, io ho la risposta”… a volte ci credi. E non è stupidità. È fame di senso.


In quel momento, quella lacrima sulla statua, quell’abbraccio del guru, sembrano più veri di qualsiasi TG o diagnosi medica. Più vicini di Dio, più tangibili della verità.


Un’Italia vulnerabile


Il problema non è solo religioso. È sociale, culturale, politico. Lo Stato arriva tardi. La legge sul plagio spirituale in Italia non esiste più dal 1981. Le forze dell’ordine possono intervenire solo quando c’è un reato. E nel frattempo, ogni buco lasciato libero da Chiesa, scuola, famiglia e comunità… qualcuno lo riempie.


A Trevignano, oggi, non c’è più nulla. Il terreno è stato sgomberato. Ma chi ha seguito Gisella continua a pregare, da casa. In Salento, le indagini su Kadir vanno avanti. I genitori chiedono aiuto, ma i ragazzi non vogliono tornare.


Morale della favola?


Non basta ridere dei “creduloni”. Serve chiedersi: che cosa manca alla nostra società se basta una lacrima finta o una voce carismatica per farci credere di aver trovato Dio?


Fino a quando non daremo una risposta, ci sarà sempre un nuovo profeta pronto a scendere in piazza — o sul lago — a offrirne una qualunque.



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